Quando hai fretta cammina lentamente

Quando hai fretta, cammina lentamente non è solo un titolo: è un invito potente, quasi un sussurro controcorrente in un mondo che corre senza sosta. Questo libro è un viaggio che ci insegna a rallentare quando tutto ci spinge ad accelerare, a ritrovare lucidità e direzione proprio nei momenti di caos.

Con uno stile profondo ma accessibile, l'autore ci guida alla riscoperta del tempo interiore, del silenzio che cura e della presenza che trasforma. È un testo che parla al cuore di chi si sente sopraffatto, ma anche alla mente di chi cerca un modo più autentico e consapevole di vivere.

Se senti che stai perdendo il contatto con te stesso mentre cerchi di stare al passo con tutto... questo libro potrebbe essere il primo passo per tornare davvero a casa.

Un libro da leggere con calma, magari sorseggiando un tè (ma va bene anche un caffè). E da tenere sul comodino per i giorni in cui la vita ti rincorre… e tu decidi di non farti prendere.

Questo è un riassunto ironico del libro scritto a modo mio per te che hai sempre fretta o semplicemente non hai voglia di affrontare centinaia di pagine.  Se invece hai davvero voglia di leggere il libro originale puoi tranquillamente acquistarlo qui

RIASSUNTO

Hai presente quei momenti in cui ti sembra di dover fare tutto, subito, possibilmente ieri? Tipo: rispondere a 37 notifiche mentre mandi avanti la lavatrice, parli con tua madre al telefono, prepari una presentazione e controlli se il gatto ha mangiato? Ecco. È proprio in questi momenti — dice l’autore — che dovresti fermarti. Respirare. E, paradossalmente, camminare più lentamente.

Perché? Perché quando la mente corre, perde lucidità. E quando perdi lucidità, fai pasticci. Come ad esempio dimenticare le chiavi in frigo, inviare una mail di lavoro al gruppo del calcetto, o insultare il tuo partner convinto di star parlando con Alexa.

Il libro parte da un’idea semplice ma rivoluzionaria: la fretta è spesso il sintomo di un pensiero ansioso, non di una reale mancanza di tempo. E se ti fermi un attimo, ti accorgi che gran parte delle corse che fai... non portano da nessuna parte. Tipo il criceto nella ruota: tanta energia, pochi risultati, e sempre più stress.

L’autore ci accompagna lungo un percorso fatto di esempi quotidiani — molti dei quali ti faranno ridere, perché ti ci ritroverai dentro con tutte le scarpe — e ci insegna che rallentare non è sinonimo di perdere tempo, ma di recuperarlo con intelligenza.

Ad esempio:

  • Sei in fila al supermercato e hai solo due cose da comprare, ma ti metti dietro a una signora con il carrello che sembra stia facendo scorte per l’inverno. Invece di sbuffare come un mantice medievale, prova a respirare. Osserva. Magari scopri che non è la fila a essere lunga: sei tu che sei corto di pazienza.

  • Oppure sei in macchina, in ritardo, il traffico è fermo e la tentazione di suonare il clacson a ripetizione è fortissima. Ma tanto non si muove niente. E allora perché non ascoltare un podcast, un audiolibro o… semplicemente il silenzio?

Camminare lentamente quando hai fretta, insomma, è un’arte che ti salva. Ti salva la testa, il fegato e, in certi casi, anche le relazioni umane.

L’autore non ti propone di trasferirti in un eremo o di diventare un monaco zen (a meno che tu non voglia farlo, ovviamente). Ti propone qualcosa di molto più semplice e concreto: imparare a essere presente. A scegliere. A dire “no” a ciò che ti consuma, e “sì” a ciò che ti nutre.

Easwaran propone un percorso strutturato in otto punti, ognuno dei quali rappresenta un passo verso una maggiore consapevolezza e serenità.

Vediamo allora quali sono questi otto punti:

1. Imparare a rallentare

(ovvero: no, non morirai se cammini piano o mastichi 20 volte)

Viviamo tutti come se avessimo un timer invisibile che scatta ogni 3 secondi: “Dai, sbrigati! Forza! Ancora più veloce!”. Ma dove stiamo andando, davvero? Spesso… da nessuna parte, ma ci arriviamo prestissimo. E Easwaran ci guarda con quel sorriso calmo da maestro indiano e ci dice: rallenta, figliolo. E tu pensi: “Ma se rallento, non combino più niente!” — come se la tua giornata fosse una missione della NASA.

In realtà, rallentare è l’arte di restare presenti, mentre il mondo cerca di scaraventarti via. Non è fare le cose con lentezza forzata stile bradipo insonnolito. È farle con attenzione, senza sembrare in fuga dalla tua stessa vita.

Esempio pratico: sei a tavola. Invece di divorare il panino come se ti avessero tenuto in digiuno per 40 giorni nel deserto, prova a masticare. Sì, masticare. Gustare. Sentire. Miracolo! Il panino ha un sapore. E tu ti senti meno pesante dell’anima.

Altro esempio: cammini. Ma non mentre leggi email, rispondi ai messaggi, controlli se il cane del vicino ha pubblicato qualcosa su Instagram. Cammini e basta. Guardi un albero. Senti il passo. Respiri.

Risultato? Sei ancora tu… ma con meno tachicardia e più dignità. Easwaran non vuole farti diventare lento. Vuole solo che tu ti accorga che esisti mentre stai vivendo. Non è poco.

2. Esercitare l'attenzione

( cioè come sopravvivere senza diventare amebe multitasking)

Allora, mettiamola così: se vuoi una vita decente, cioè non passare le tue giornate come una gallina impazzita in un centro commerciale il giorno dei saldi, devi imparare a fare una cosa per volta. Sì, proprio come ti dicevano alle elementari: “Non masticare e parlare insieme!” E no, non sei diventato più figo crescendo, sei solo diventato più confuso.

Fare due o più cose contemporaneamente – tipo mangiare, leggere, parlare al telefono e magari anche rifare mentalmente la lista della spesa – non ti rende un genio multitasking. Ti rende solo uno che fa tutto male. La mente, poverina, non è fatta per spalancarsi su venti fronti come una valigia esplosa. È fatta per stare su una cosa alla volta. Se la costringi a sparpagliarsi, lei si ribella: si distrae, si stanca, si perde dietro alle farfalle e a quel video idiota che ti è apparso su TikTok.

Vuoi fare le cose bene? Allora, quando mangi, mangia. Quando leggi, leggi. Quando guidi, guida (e magari non mentre chiacchieri, canti, e litighi con Siri). Quando parli con qualcuno, smetti di pensare alla bolletta della luce e ascolta veramente. Perché l’altro se ne accorge che sei lì con la faccia, ma non con il cervello.

E il Buddha, che non aveva nemmeno WhatsApp a distrarlo, lo diceva chiaro: "Se stai camminando, cammina. Se stai seduto, siediti. Non barcollare come uno zombie in saldo." Cioè: stai su una cosa sola, diamine.

E se la tua mente inizia a viaggiare nel tempo tipo macchina di "Ritorno al Futuro" (passato: "Uffa, quell'umiliazione!" - futuro: "Oddio, e se domani va tutto a schifo?"), tira fuori il tuo mantra personale e ripetilo come una preghierina zen finché non torni tra i vivi. Oppure, fai due passi e respira. Ma fallo davvero, non “intanto che” pensi alla prossima litigata con il capo.

Alla fine, ogni gesto è un allenamento per addestrare il tuo neurone (o i pochi superstiti) a essere presente. Se ti sembra che un’attività sia troppo stupida per meritare attenzione... allora magari, guarda un po’, non vale neanche la pena di farla. Così magari risparmi pure tempo e non ti rincoglionisci da solo.

3. Esercitare i sensi

(senza rimanere prigionieri dei propri gusti da bambini capricciosi)

Allora, partiamo subito male: tutto quello che ti piace – dal cheeseburger unto ai film in cui la gente esplode senza motivo – non è frutto del tuo “libero arbitrio”, ma del tuo addestramento emotivo. Sei il risultato di anni di "mi piace/non mi piace" sparati a caso come pallini da una carabina scassata.

La soluzione? Smetterla di seguire sempre e solo te stesso, che onestamente, dopo un po’, sei pure noioso.
Inizia a dire "sì" ai gusti degli altri. Sì, anche quando ti propongono di vedere un documentario sui cetacei o di mangiare tofu bollito invece della tua solita pizza margherita XXL.
Perché? Perché solo così allarghi i tuoi sensi e la tua mente.
(Ma tranquillo: nessuno ti obbliga ad amare il tofu. Basta che lo mastichi senza piangere.)

Poi, parliamo delle tue opinioni, che sicuramente consideri oro colato.
Ebbene, sappi che non lo sono.
Le tue opinioni, specialmente quelle più rigide e isteriche, sono solo il risultato di mille pippe mentali e non valgono di più di quelle di chi ti sta sulle scatole.
Quindi, ogni tanto, cambia idea.
Fallo come esercizio, anche solo per vedere se la Terra continua a girare (e sì, tranquillo, gira comunque).

E se pensi troppo al passato ("Oddio, quella volta nel 2013!") o al futuro ("Cosa succederà nel 2035??"), sai già cosa devi fare: mantra, baby.
Ripeti quella tua parola magica nella testa e torna nel presente prima che la tua mente si perda definitivamente tipo valigia smarrita all’aeroporto.

Sul fronte cibo: mangia sano. Non perché “ti piace” o perché “non ti piace”, ma perché il tuo corpo non è una discarica.
Sorpresa: nemmeno la tua mente lo è.
Quindi, seleziona con cura quello che leggi, guardi e ascolti.
Perché, notizia bomba: sei quello che pensi.
Se ti nutri di spazzatura mentale, diventi un bidone dell’umido con le gambe.
Se scegli contenuti che elevano la tua dignità invece di abbassarla al livello di un talk show urlato... forse, e dico forse, puoi anche diventare un essere umano decente.

4. Mettere gli altri al primo posto

(senza sembrare dei finti santi)

Parliamoci chiaro: se vivi pensando solo a te stesso – i tuoi bisogni, i tuoi sogni, il tuo hamburger doppio formaggio – stai costruendo un fantastico muro invisibile tra te e il resto dell’umanità. Complimenti: sei il muratore dell’isolamento emotivo.

La soluzione, se vuoi evitare di diventare un cactus sociale, è semplice (ma dolorosa come un calcio negli stinchi): smettila di pensare solo a te.
Quando ti accorgi che la tua mente sta facendo il solito giro turistico nella terra del "io, io, io", tira fuori il tuo mantra segreto (“Non sono l’ombelico del mondo!” funziona benissimo) e reindirizza l’attenzione verso i bisogni degli altri.

E no, non devi cominciare salvando orfanotrofi in giro per il mondo: bastano i familiari e gli amici, quei poveretti che ti vogliono ancora bene nonostante tutto.
Comincia da lì.
E per rendere il tutto meno pesante – visto che lamentarti è il tuo sport preferito – trasforma l’operazione in un gioco:
Lascia che sia qualcun altro a scegliere il film (anche se è una commedia romantica da suicidio), o a ordinarti al ristorante un’insalata tristerrima invece della tua solita pizza cicciona.

Partecipa alle attività dei tuoi figli, se ne hai: non per dovere, ma per goderti la loro felicità (sì, esiste anche questo tipo di emozione, incredibile vero?).
E se per caso ti viene voglia di vincere a tutti i costi a UNO contro tuo nipote di cinque anni... respira.
La competizione nei rapporti personali è come mettere la maionese sulla pastasciutta: una roba inutile e anche un po’ disgustosa.

Cerca invece di essere complementare, cioè il pezzo che manca al puzzle, non quello che si incastra a martellate.
Quando ci sono divergenze, non trasformarti nell’avvocato della rissa: ascolta, pensa, e magari (ma solo magari) scopri che l’altro non è così idiota come credevi.

Con i figli, il discorso è ancora più serio: prima viene il loro bene, poi il tuo ego. Sempre.
E quando devi dirgli di no – cosa che devi fare, altrimenti cresci dei piccoli sociopatici – fallo con amore e rispetto.
Non con urla da pescheria o sguardi da inquisizione spagnola.

In sintesi:
Se vuoi vivere bene, ogni tanto ricordati che il mondo non gira intorno al tuo ombelico.
Anche perché, diciamolo, non è neanche così interessante.

5. Amicizie spirituali

(ovvero: se vuoi diventare saggio, smetti di uscire con chi parla solo di offerte del Black Friday e di come è finita la serie su Netflix).

Easwaran, con la calma di un vecchio zio illuminato, ci dice una verità semplice: frequenta gente che ti eleva, non che ti abbatte come un debito fuori bilancio. Se stai cercando di diventare più consapevole, più calmo, più centrato... forse è il caso di non passare tutti i weekend con quelli che iniziano ogni frase con “oh fratè, che disastro ieri sera!”.

Le “amicizie spirituali” non sono quelle in cui vi mettete in cerchio a cantare “Kumbaya” (a meno che non vi piaccia). Sono rapporti in cui ci si stimola a essere persone migliori, magari anche ridendo, ma con un po’ di sostanza. Persone che, quando parli di meditazione, non ti chiedono se è una nuova app per dormire.

Esempio pratico: invece del solito aperitivo rumoroso con chi si lamenta per sport, organizza una passeggiata al parco con quell’amico che legge i testi di Thich Nhat Hanh. Magari non vi illuminate subito, ma tornate a casa meno isterici.

Insomma, se vuoi andare lontano nella crescita interiore, meglio in buona compagnia che in cattiva fretta.

6. Lettura di testi spirituali

(ovvero: leggi qualcosa di intelligente prima che la tua giornata venga colonizzata da WhatsApp e dalle notifiche del forno a microonde)

Cominciamo col dire una cosa semplice: la mente è come un cucciolo di labrador iperattivo. Se non gli dici tu dove guardare, comincia a inseguire tutto ciò che si muove: ansie, drammi, offerte del giorno su Amazon. Ecco perché Easwaran ti dice: al mattino, prima ancora del caffè e della lotta col calzino spaiato, siediti e medita su un testo ispiratore. Che sia un versetto della Bhagavad Gita, un passo del Vangelo o una frase di Buddha (ma non le frasi motivazionali su Instagram, ti prego), il punto è: fai partire la giornata con un pensiero nobile.

Esempio pratico: ti svegli già in ritardo. Invece di maledire la sveglia e ingurgitare biscotti come una stampante inceppata, leggi (e medita) su: “Beati i miti, perché erediteranno la terra”. Poi, mentre sei imbottigliato nel traffico, invece di voler sterminare l’umanità, ripensa a quel verso. Magari non erediti la terra, ma almeno non ti viene un’ulcera.

Morale: nutri la mente prima che lei si nutra di te.

7. Il mantra

(ovvero: invece di mandare a quel paese qualcuno, prova a recitare qualcosa di sacro)

Easwaran, che nella vita ha avuto più pazienza di un impiegato delle Poste a fine turno, ci consiglia un trucco tanto semplice quanto potente: ripeti un mantra durante la giornata. Così, mentre la tua mente si agita come una lavatrice in centrifuga, tu le lanci questa corda sottile, fatta di parole sacre, per riportarla a riva.

Ma cos’è un mantra? No, non è “ce la posso fare, ce la posso fare” detto tremando nel bagno dell’ufficio. È una breve frase carica di significato spirituale, tipo “Om mani padme hum”, oppure, se vuoi restare in zona monoteismo occidentale, anche “Signore, rendimi strumento della tua pace” va benissimo. L’importante è che abbia dignità. No a “Ogni giorno in ogni modo mi sento sempre meglio”, che funziona solo nei baci Perugina.

Esempio pratico: sei in fila, in banca, davanti a te una signora sta raccontando la genealogia dei suoi nipoti al cassiere. La tentazione è di usare il bancomat come arma contundente. Invece, comincia a ripetere il tuo mantra. Mentalmente, eh, non ad alta voce, o finisci ricoverato.

Dopo due minuti, sorpresa: non ti sei trasformato in un santo, ma nemmeno in Hulk. Il mantra ha funzionato. Non ha cambiato il mondo, ma ha tenuto ferma la tua mente mentre il mondo girava come un matto. E fidati: è già un miracolo.

8. La meditazione

(come pratica quotidiana di trasformazione)

La meditazione rappresenta il fulcro del programma proposto: si consiglia di dedicarvi mezz'ora ogni mattina, il più presto possibile. È importante non superare questo tempo; chi desiderasse praticare di più potrà aggiungere una sessione serale di un'altra mezz'ora, preferibilmente prima di andare a dormire.

Per sostenere la pratica, si raccomanda di predisporre uno spazio esclusivamente dedicato alla meditazione e alla lettura spirituale. Questo luogo, che può essere un’intera stanza o anche solo un angolo tranquillo della casa, non deve essere utilizzato per altre attività, così da preservarne l’atmosfera raccolta e sacra.

Durante la meditazione si può scegliere di sedersi su una sedia con schienale dritto o sul pavimento, purché testa, collo e colonna vertebrale siano ben allineati. Chiusi gli occhi, si comincerà a ripetere mentalmente e lentamente le parole di un brano spirituale memorizzato appositamente per la pratica. Come primo testo da apprendere, si consiglia la preghiera di San Francesco d'Assisi.

La chiave della meditazione è la concentrazione sulle singole parole, senza tentare di ricostruire mentalmente l'intero significato del testo. Il significato emergerà spontaneamente, senza sforzo. In caso di distrazioni, non bisogna combatterle con tensione: sarà sufficiente riportare gentilmente l'attenzione alle parole e ricominciare, accettando con pazienza il naturale divagare della mente.

Arrivati alla fine del brano, si ripeterà il testo dall'inizio, continuando così fino al termine della mezz'ora, finché si avranno a disposizione altri brani da meditare. La ripetizione favorisce l'interiorizzazione profonda e rafforza la capacità di mantenere l'attenzione.

Seguito con costanza e precisione, questo metodo di meditazione ha il potere di trasformare profondamente la vita quotidiana. L'autore stesso, attraverso la propria esperienza, testimonia i benefici concreti di una pratica regolare: maggiore serenità interiore, apertura altruistica verso gli altri, e un impatto positivo sull'ambiente circostante.

Anche una pratica limitata a brevi periodi iniziali può avviare un processo di cambiamento significativo, favorendo un'esistenza più consapevole, centrata e benefica non solo per chi medita, ma anche per le persone che gli stanno vicino. La meditazione, quindi, è presentata come uno strumento semplice ma potentissimo per migliorare la qualità della propria vita e contribuire in modo positivo al mondo.

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